• Viticoltura eroica in Valtellina. Casa vinicola Nino Negri - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Casa vinicola Nino Negri - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Casa vinicola Nino Negri - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Casa vinicola Nino Negri - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Casa vinicola Nino Negri - Intervista a Casimiro Maule - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Azienda Agricola Terrazzi Alti di Siro Buzzetti - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Azienda vinicola Alfio Mozzi - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Azienda vinicola Alfio Mozzi - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Azienda vinicola Alfio Mozzi - Trame Metropolitane - Enece Film
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Valtellina Wine Trail - Trame Metropolitane - Enece Film
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Chiuro - Elisa Piria
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Chiuro - Elisa Piria
  • slidebg1
    Frazione Baruffini - Diego Ronzio
  • slidebg1
    Frazione Baruffini - Diego Ronzio
  • slidebg1
    Locanda Altavilla - Diego Ronzio
  • Viticoltura eroica in Valtellina. Storie di Vite - Federica Riva
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Teglio - Federica Riva
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Teglio - Federica Riva
  • slidebg1
    Jonatan Fendoni. Legatura con salice - Federica Riva
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Teglio - Federica Riva
  • slidebg1
    Jonatan Fendoni. Legatura con salice - Federica Riva
  • slidebg1
    Vitigni - Federica Riva
  • slidebg1
    Vitigni - Federica Riva
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Teglio - Federica Riva
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Teglio - Federica Riva
  • slidebg1
    Vigneti nella zona di Teglio - Federica Riva
  • 2014
    2015
    2016
 Indietro

Categoria

Natura e Universo

Tag

DOVE

(SO), Lombardia - Italia

CHI

Azienda Agricola Alfio Mozzi Azienda Agricola Alfio Mozzi
(azienda vitivinicola)
Casa Vinicola Nino Negri Casa Vinicola Nino Negri
(azienda vitivinicola)
Fendoni Jonatan Fendoni Jonatan
(viticoltore)
Maule Casimiro Maule Casimiro
(azienda vitivinicola)

Viticoltura eroica in Valtellina

La viticoltura eroica è un attributo conferito a quei paesaggi viticoli che, come quelli della Valtellina, sono accomunati da particolari configurazioni orografico-ambientali: contesti di altitudine o montani con i quali le comunità rurali si sono misurate nei secoli, disegnando quei terrazzamenti che ne sono oggi il principale tratto distintivo, un lascito materiale e di raffinati saperi che l’uomo ha realizzato disegnando il paesaggio per produrre risorse. Oggi, il loro mantenimento è strettamente legato alla coltura della vite: la morfologia del terreno implica durante il corso dell’anno un grande lavoro di preparazione. La costruzione dei muretti di sostegno per i terrazzamenti è realizzata con la tecnica a secco, senza l’utilizzo di cemento. La manutenzione dei minuscoli appezzamenti è molto laboriosa: una volta smosso il terreno, questo deve essere gettato da un terrazzamento al superiore, e così via fino ad arrivare in cima.
La viticoltura eroica non è riducibile a una semplice definizione estetica di paesaggio, veicola la rappresentazione di un contesto rurale esposto a condizioni di lavoro particolarmente difficili, che hanno richiesto alle società contadine investimenti enormi in termini fisici e temporali. Investimento che, anche con l’avvento di innovazioni e di ausili meccanici, si perpetua oggi. Un impegno, quello degli odierni viticoltori, non solo professionale ma anche etico, di conservazione e tutela di un paesaggio che ha rappresentato, per le generazioni da cui molti discendono, l’unico orizzonte di sussistenza. Oggi, sono le nuove generazioni che scelgono consapevolmente di riprendere la coltivazione dei vigneti di famiglia. In un territorio fragile come quello valtellinese, il ruolo della viticoltura è decisivo più che altrove, oltre che per gli aspetti culturali ed economici, anche per la salvaguardia del paesaggio. Così Jonatan Fendoni. “Siamo un gruppo di ragazzi che hanno deciso di lavorare la terra con la testa. Abbiamo recuperato le vecchie sementi, recuperiamo i terrazzamenti abbandonati, i vigneti. Lo facciamo come passione, al di fuori dal nostro lavoro e ci autofinanziamo queste attività”.
Due fattori favoriscono in Valtellina le attività di viticoltura: il clima e la natura del terreno. Possiamo parlare di un microclima valtellinese, poiché quest’area è protetta dalle perturbazioni e dai venti freddi del nord e da quelli caldi e umidi del sud. Gli importanti fenomeni di ventilazione, l’influenza mitigatrice del lago di Como, le forti precipitazioni temporalesche distribuite lungo tutto il corso dell’anno favoriscono la viticoltura in un territorio apparentemente ostile alla coltivazione della vite. Il suolo delle vigne, quella parte del terreno che interagisce con l’apparato radicale delle piante, è nato in parte dalla degradazione della roccia madre e in parte per riporto degli agricoltori valtellinesi nel corso dei secoli. La vite è quindi una costante dell’agricoltura valtellinese e ne rappresenta un simbolo. Siro Buzzetti spiega: “Il vigneto in Valtellina non è una coltura intensiva, ci sono molti spazi aperti, molti incolti e quindi l’impatto delle coltivazioni sul territorio è estremamente discreto. Ci sono sempre zone tampone dove non intervieni e quindi si mantiene biodiversità ed equilibrio del paesaggio. Questo è il modo in cui coltiviamo in Valtellina. Il sole scalda la roccia e durante la notte rilascia calore, ma non è mai un caldo soffocante perché il lago di Como e le Alpi creano un gradiente termico. C’è sempre ventilazione e il nostro grappolo è come un panno steso sul balcone di casa, si arieggia e si asciuga”.
Ancora oggi si mantiene in Valtellina la netta separazione tra i vigneti pianeggianti di fondovalle, definiti “oppolo”, e le coltivazioni di “costiera”, sul versante scosceso ed esposto a sud. I vini provenienti dalle zone pianeggianti sono destinati al consumo familiare, mentre la diffusione commerciale è limitata ai prodotti delle vigne in quota. Le zone di costiera sono quelle che meglio esprimono la specificità della viticultura valtellinese. Qui la tecnica prevalente è quella definita a “vigna spessa”: filari bassi, ravvicinati tra loro, non interposti ad altri tipi di coltivazione. Date le dimensioni e l’inclinazione dei terreni da coltivare, è quasi impossibile accedere con grandi mezzi agricoli; le lavorazioni sono effettuate in prevalenza con lavoro manuale, con la zappa o con piccolissimi aratri. Negli ultimi anni, per rendere possibile l’intervento di piccoli trattori, è stato adottato un nuovo metodo di coltivazione: mentre tradizionalmente i filari erano disposti secondo un orientamento nord-sud, lungo la linea di massima pendenza (definito “a ritocchino”), oggi alcuni appezzamenti adottano la disposizione est-ovest (definita a “giropoggio”); questo permette di livellare la pendenza tra i filari e quindi di accedere con piccolissimi trattori.
Fino a metà del secolo scorso la vite veniva allevata come coltivazione esclusiva e, in misura minore consociata. In quest’ultimo caso alla vite venivano alternati negli interfilari altri tipi di colture come segale, miglio, alberi da frutto, ortaggi. L’allevamento tradizionale prevedeva che la pianta fosse legata con uno o più gambi a un sostegno verticale in legno. I tralci venivano orientati e piegati lungo sostegni orizzontali (in numero variabile) anch’essi costituiti da pali di legno più sottili. L’allevamento della vite si prolungava anche lungo i muretti a secco, nei cumuli di pietre posti ai lati dei terrazzamenti, dove i tralci venivano adagiati grazie al supporto di pali infilati nelle pietre, per aumentare la superficie di allevamento. La coltivazione odierna della vite esiste soltanto in forma pura come mono coltivazione; solo nei campi abbandonati o recuperati è possibile intuire quell’organizzazione dello spazio tipico della coltura consociata.
Tra le tradizionali modalità di potatura e legatura in Valtellina una delle più ricorrenti, e che si ritrova ancora nei vecchi terrazzamenti recuperati, è la cosiddetta legatura “alla Cappuccina” più conosciuta con il nome di “archetto alla valtellinese”. La legatura con il salice è uno dei saperi più affinati e affascinanti per l’alta manualità che richiede e che può essere spiegata solo mediante l’osservazione di chi questo gesto lo compie da anni, come i contadini esperti. Le forme tradizionali di cura hanno subito progressive trasformazioni. L’eccessiva lunghezza dei tralci e il loro indebolimento è stato risolto con potature e legature più corte che hanno trasformato il tradizionale archetto alla valtellinese in un semi-archetto o in un ibrido con il cordone speronato, forma moderna in uso in molte aree viticole europee. Anche l’altezza della pianta è stata ridotta per ovviare ai cambiamenti climatici in modo da favorire una maggiore e più costante trasmissione del calore. Così Jonatan Fendoni: “La gestione tradizionale è con l’archetto valtellinese o coppa, e a furia di osservare, sperimentare e rischiare sono arrivato a una potatura standardizzata, che non è da manuale, è una sorta di invenzione, di sperimentazione. Si è passati dal salice alla plastica, per tornare al salice con le nuove generazioni”.
Caratteristica peculiare dell’uva della zona è di maturare tardi e in Valtellina la vendemmia è tra le ultime in Italia: si svolge tra metà ottobre e la prima settimana di novembre. Lasciar maturare l’uva sulla pianta quando la stagione è fredda significa che le escursioni termiche tipiche della montagna sono ancora più accentuate. In questo modo nella buccia si immagazzinano sostanze che forniscono particolari profumi e tannini che danno lunga vita al vino. Il momento della vendemmia è chiaramente l’apice delle lavorazioni annuali: l’uva deve essere raccolta a mano, poi trasportata fino alla base dei vigneti. La prevalenza del lavoro manuale determina un grande bisogno di manodopera specializzata: nelle piccole aziende questa necessità è in genere soddisfatta attraverso la rete parenterale, mentre le cantine di dimensioni superiori fanno ricorso a squadre di lavoratori stagionali.
Da sempre il successo dei vini valtellinesi si basa sulla scelta di una produzione di qualità piuttosto che sulla produzione di quantità. Nel corso dei secoli, a più riprese, i viticoltori hanno tentato di estendere le aree produttive al fondovalle, più accessibile ed esteso della costiera retica; ma questi tentativi hanno sempre coinciso con fallimenti commerciali e con periodi di crisi economica e di immagine. L’ultimo di questi tentativi risale agli anni Settanta del Novecento: attratti dalla possibilità di accedere al mercato della grande distribuzione molti produttori hanno impiantato la vigna nelle aree di fondovalle, tradizionalmente vocate alla produzione di mais e mele. Le diverse caratteristiche climatiche e del terreno hanno dato origine a un significativo deterioramento nella qualità dei vini prodotti; questo ha causato il crollo del mercato, in particolare dell’esportazione verso la Svizzera, che da sempre rappresenta lo sbocco primario per l’economia del vino valtellinese.
Dopo un periodo di crisi, assistiamo oggi al rilancio dei prodotti e dei marchi locali, basato sul controllo della qualità. Si diffondono nuovi saperi e usi relativi all’agricoltura biologica, all’ecosostenibilità e alla rivalutazione dei prodotti locali, combinati con saperi e usi tradizionali.
Questa rinascita è tra l’altro promossa da alcune grandi cantine, che svolgono oggi un ruolo di guida e di supporto per i piccoli coltivatori e per le nuove generazioni di viticoltori: grazie a contratti di pre-acquisto, fanno da collettori dell’uva prodotta dalle aziende a conduzione familiare, fornendo consulenze enologiche e garantendo così la qualità del prodotto finito.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

Nel versante retico, la viticoltura ha origini antichissime. Quello che osserviamo oggi è solo una parte della superficie vitata che a fine Ottocento costituiva la maggiore attività agricola nel versante retico (circa 7.000 ettari contro i 1.500 odierni). L’economia viticola viene menzionata in diverse inchieste e statistiche agrarie che fioriscono nel corso dell’Ottocento. Documentano una Valtellina in cui la viticoltura costituisce attività primaria e di lungo corso, attestata già in epoca romana.
I vincoli feudali si sciolgono tra il XIV e il XV secolo, quando vengono introdotti i canoni di affitto o di livello. Questi prevedono affitti di lunga durata, con il pagamento del canone in natura e la valorizzazione del terreno, spesso incolto. Il contratto di livello era una sorta di locazione ereditaria istituita nel Medioevo: la famiglia di coloni pagava un canone di affitto al proprietario attraverso il quale si garantiva il terreno a coltura senza limiti temporali. Le coltivazioni non erano specializzate, nei vigneti si piantava anche il grano, i legumi e tutti quei beni che servivano alla sussistenza familiare. Storici locali narrano che i contratti di livello, invalsi fino al primo dopoguerra in Valtellina, abbiano favorito la costruzione dei muretti a secco. L’aumento di produttività, a seguito delle migliorie strutturali, viene trasmessa dal contadino ai suoi eredi, e ciò spinge a perfezionare e sfruttare al meglio gli spazi di coltivazione.
Tra le due guerre novecentesche, i contratti di livello decadono, dando la possibilità ai coloni di riscattare le terre. Da qui le proprietà si frastagliarono in piccole estensioni private, a favore di una sempre maggiore specializzazione colturale, passando cioè da coltivazioni promiscue a monocolture, come il melo e la vite.
La Valtellina ha sempre goduto di una grande rilevanza economico-commerciale come snodo strategico e di collegamento tra le aree transalpine nord-europee (l’attuale Svizzera) e quelle pianeggianti a sud (oggi Lombardia). Riguardo alla produzione del vino, studi di storici locali affermano che nell’Ottocento la resa produttiva annua si attestasse intorno ai 150.000 ettolitri e che il prodotto godesse di un certo prestigio, già allora definito “di eccellenza”. È infatti l’inizio della dominazione della Valtellina da parte dei Grigioni (1512) a favorire il grande processo di espansione della viticoltura. I Grigioni, che già commerciavano i vini valtellinesi, ne acquisiscono il monopolio. Anche le vie di esportazione si aprono a nuove direzioni: meno verso Bormio e Chiavenna e più attraverso i passi del Muretto e del Bernina. Tra il 1870 e il 1880, quando ormai la dominazione dei Grigioni era terminata da decenni, su 70.000 some destinate all’esportazione, la metà transita da questi due passi alpini: 25.000 some dal Bernina; 10.000 some dal Muretto, quest’ultimo chiamato anche Cavallara o Strada del vino. Nell’ultimo decennio della dominazione austriaca (1851-1859) la Valtellina viene colpita nel suo principale prodotto: i vigneti vengono quasi completamente distrutti dall’oidio. Il sopraggiungere di numerose malattie della vite, tra le quali l’antracnosi dal 1876 al 1878, la filossera comparsa nel 1879 e la peronospera fino al 1883, fa deprezzare i terreni e rendono necessaria la creazione di nuovi vigneti. Alla crisi dettata dalle malattie si aggiunge il ribasso dei prezzi agricoli e le ripercussioni negative dell’apertura del traforo del Gottardo che, lasciando la Valtellina isolata dalle ferrovie, la allontana dal suo principale mercato del vino, la Svizzera. Solo dopo la Prima Guerra Mondiale la viticoltura valtellinese comincia a riprendersi.

APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE

Le conoscenze, le abilità e le tecniche vengono trasmesse per via familiare. Tipologia di impianto, età della vite, tipi di legatura, vendemmia, maturazione del vino, solo per citare alcune delle complesse conoscenze legate alla viticoltura, testimoniano di concezioni e di saperi immateriali che i contadini applicano nell’arco dell’anno alla cura della vite e alla produzione di vino. Questi saperi, da sempre trasmessi oralmente, hanno la caratteristica particolare di essersi modificati nel corso dei secoli e nel contemporaneo, grazie alla conoscenza e all’esperienza diretta, continua e incessante dei vecchi e dei nuovi viticoltori, sempre alla ricerca di nuove e ingegnose soluzioni. Sono questioni ancora oggi cruciali nel mondo vitivinicolo, come il miglioramento della qualità del prodotto, in relazione alle tendenze di consumo e alla necessità di innovazione dei saperi in vigna, in particolare quelli relativi alla razionalizzazione del lavoro in un territorio difficile, le cui costrizioni ambientali, connesse alle altitudini degli impianti, costringono a ripensare le tecniche di potatura, legatura e concimazione.
Jonatan Fendoni così si racconta: “Le basi della viticoltura valtellinese vengono tramandate dai nonni e dai padri. Io lavoro 3.000 piante, circa 1.000 di proprietà, le altre sono recuperate. Te le danno anche in gestione, contenti che il loro terreno continui a produrre, e non solo rovi.”
Casimiro Maule della Casa vinicola Nino Negri parla di un “Rinascimento enologico. Vale la pena di produrre in qualità e non in quantità. Oggi in tutte le aziende è entrato l’agronomo, e c’è una grande attenzione al territorio” e ai vitigni. Oggi si usa “una potatura soffice, per cercare di preservare l’integrità della pianta e renderla più longeva”.
Per i processi di trasmissione è interessante l’esperienza delle Cattedre ambulanti di agricoltura, che nascono in Italia agli inizi del Novecento. Svolgono un ruolo importante e si pongono come nuovi istituti locali di innovazione del sapere. La finalità della Cattedra è infatti quella di dotare il contadino di strumenti di conoscenza autonomi, per operare scelte in linea con l’ambiente e le esigenze colturali. Le cattedre sono strumenti attivi nei territori di diffusione del sapere e di mediazione tra le concezioni contadine tramandate oralmente di generazione in generazione, e la razionalità scientifica dei nascenti saperi agronomici, che introducono soluzioni razionali finalizzate alla risoluzione delle problematiche che affliggono le colture. Questo incontro tra una visione più razionale dell’agricoltura, rappresentata dalla cattedra ambulante, e una di stampo tradizionale, di cui i contadini sono portatori, produce interessanti effetti di contatto con forme di ibridazione tra tradizione e modernità di cui i vecchi vigneti oggi conservano le tracce.
Per la manutenzione del paesaggio terrazzato, assistiamo oggi a interessanti forme di collaborazione tra gli istituti scolastici locali e le case vinicole, che organizzano corsi di formazione per il recupero dei muretti a secco, dedicati agli allievi del settore edile. Questo permette la rigenerazione dei saperi, l'acquisizione di competenze tecnico-professionali spendibili per gli studenti, e al contempo il recupero di aree abbandonate e incolte.

COMUNITÀ

I portatori della viticoltura eroica sono i vignaioli e gli agricoltori valtellinesi, uomini e oggi anche giovani donne. Le nuove generazioni scelgono consapevolmente di riprendere la coltivazione dei vigneti di famiglia, hanno ereditato appezzamenti domestici, piccole proprietà, tenute in vita dall’ultima generazione contadina, quella dei nonni. I neo-viticoltori riacquisiscono il ruolo di attori del paesaggio, questa volta come professionisti. Una presenza che si afferma mediando tra quello che si è ereditato – la terra, le viti, i saperi – e ciò che occorre ripensare e ricreare alla luce delle necessità del presente.
La loro è una duplice funzione, culturale e sociale, correlata non solo alle capacità tecniche produttive, ma anche al mantenimento del paesaggio. Per la conservazione ambientale, e lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura, è fondamentale la manutenzione dei muretti a secco o il loro recupero, che riattiva l’uso di tecniche e di specifici saperi manuali.
Sono viticolture familiari che fanno i conti con un ambiente ereditato, che oggi si rivitalizza attraverso forme innovative di coltura. La vita rurale si è trasformata. Da sempre gli abitanti della Valtellina si identificano con la viticoltura: se a fine Ottocento costituisce la maggiore attività agricola nel versante retico, circa 7.000 ettari, oggi, pur essendo minore la superficie coltivata, circa 1.500 ettari, è testimonianza di un forte fenomeno identitario, che ne attesta lo sforzo di preservare e innovare la coltura. La continuità nella pratica, dal Medioevo ad oggi, nonostante i periodi difficili e di crisi, sottolinea gli sforzi della comunità locale nel rispettare la sua vocazione e la sua storia.
La salvaguardia del paesaggio è strettamente legata alla pratica della viticoltura, che rafforza i legami tra territorio e comunità locali, veicola il senso di identità e di continuità culturale, incoraggia, attraverso nuove forme di adattamento e di sperimentazione, la creatività umana. La crisi economica, le preoccupazioni ambientali, un generale ripensamento dei modelli di consumo e la tendenza alla valorizzazione dei brand e dei prodotti locali, sembrano oggi combinarsi e generare nuove forme di consapevolezza. Questo approccio parte dalle comunità locali e si diffonde interessando tutta la comunità di pratica dei viticoltori. La produzione di vino diventa chiave privilegiata di accesso e di comprensione della cultura alimentare, dei processi e delle dinamiche territoriali, dei significati socioculturali e del complesso sistema di valori ad esso connessi.

AZIONI DI VALORIZZAZIONE

Per assicurare la viabilità e la conoscenza della viticoltura eroica valtellinese sono numerose le azioni di valorizzazione messe in atto a livello locale, di richiamo regionale e nazionale.
Il Consorzio Turistico “Porte di Valtellina” organizza e promuove feste e sagre enogastronomiche che si alternano su tutto il territorio durante l’estate e l’inizio dell’autunno.
“Cantine Aperte” è una delle iniziative più importanti, a livello nazionale, che si svolge in tutta la Provincia di Sondrio. Sono coinvolte le cantine socie del Movimento Turismo del Vino.
“Morbegno in Cantina” è una delle manifestazioni di maggior rilievo della stagione autunnale. Da oltre vent’anni, da fine settembre a metà ottobre e per tre weekend consecutivi, si aprono le degustazioni in cantina.
Il Consorzio per la Tutela dei Vini di Valtellina, fondato nel 1976, rappresenta dal 1997 la quasi totalità delle case e aziende vinicole della Provincia di Sondrio. Le sue finalità comprendono anche aspetti strettamente legati al territorio, come dimostra la recente istituzione della Fondazione Provinea per la salvaguardia dei terrazzamenti valtellinesi. Il Consorzio ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione e la promozione del vino valtellinese in Italia e all’estero, nonché la salvaguardia della cultura vitivinicola in Valtellina. Nel 2017 si è tenuta la prima edizione del “Chiavenna Valtellina Wine Festival”, voluto dal Consorzio per unire i produttori di vino.

MISURE DI SALVAGUARDIA

La  Legge nazionale n. 238, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 12 dicembre 2016 ed entrata in vigore il 12 gennaio 2017 prevede novanta articoli e raccoglie tutta la normativa precedente in tema di vino. L’approvazione della legge permette una reale semplificazione su produzione, commercializzazione, denominazioni di origine, indicazioni geografiche, menzioni tradizionali e presentazione, gestione, controlli e sistema sanzionatorio. L’articolo 7 è interamente dedicato ai vigneti eroici o storici, prevede la tutela di questi vigneti e si prefigge di promuovere interventi di ripristino, recupero e salvaguardia di quei vigneti che insistono su aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o aventi particolare pregio paesaggistico.
Il “Disciplinare di produzione dei vini a indicazione geografica tipica”, approvato con Decreto Ministeriale del 1995, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 6 dicembre 1995 e le successive modifiche, norma nei sui articoli le condizioni e i requisiti per l’ottenimento dei mosti e dei vini atti ad essere designati con la IGT “Terrazze Retiche di Sondrio”.
I vini Valtellina Superiore e Sforzato di Valtellina sono protetti dal marchio D.O.C.G. (Denominazione di Origine Controllata e Garantita). La categoria dei vini D.O.C.G. comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione. Le D.O.C.G. sono riservate ai vini già riconosciuti a Denominazione di Origine Controllata (D.O.C.) da almeno dieci anni che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative, rispetto alla media di quelle degli analoghi vini così classificati, per effetto dell’incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello nazionale e internazionale.
Si aggiungono riconoscimenti di Slow Wine, che ogni anno sceglie e premia, con estremo rigore e con monitoraggio dei metodi di produzione, le cantine meritevoli e i vini che ottengono i riconoscimenti più ambiti. Le aziende candidate ai premi più prestigiosi non possono utilizzare diserbanti chimici nei vigneti. Di seguito una delle motivazioni ai premi indicati da Slow Wine ai vini di Valtellina “le Terrazze Retiche sono la culla in cui si stanno affermando sempre più piccole realtà vitivinicole che contribuiscono, insieme alle aziende più affermate, a diffondere un’espressività enologica di crescente definizione, oltre a offrire una risposta tangibile al problema dell’abbandono dei terrazzamenti”.

Per sapere di più

Siti web

Bibliografia

  • Montaldo Guido
    Sondrio e il suo territorio - Una costante nella storia dell'economia valtellinese: il vigneto
    Silvana Editoriale 1995
  • Jacini Stefano
    Inchiesta Agraria sulle condizioni della classe agricola
  • Zoia Diego
    Vite e vino in Valtellina e Valchiavenna: la risorsa di una valle alpina
    L'Officina del Libro 2004

Beni materiali

I muretti a secco rappresentano i segni distintivi del paesaggio vitato valtellinese. Oggi i terrazzamenti della Valtellina costituiscono il territorio terrazzato più esteso d’Europa, con i suoi 2.500 km di muretti a secco, coltivati da circa tremila viticoltori, per una superficie complessiva di circa 1.500 ettari. Si tratta di opere murarie – perlopiù a orientamento orizzontale e presenti massicciamente nella fascia di mezza montagna del versante valtellinese retico (fino a 700 metri) – con funzione di contenimento delle coltivazioni a pendio. Queste sapienti opere di ingegneria furono realizzate dagli antichi coloni per ricavare superfici adatte alla coltivazione agricola. I muretti a secco hanno dunque ospitato per secoli anche la vite, costituendo il micro paesaggio in cui si organizza il vigneto e si compie il suo ciclo annuale di coltura e di cura.

A cura di

Regione Lombardia - Archivio di Etnografia e Storia Sociale - Agostina Lavagnino

Data di pubblicazione

18-FEB-2018 (Agostina Lavagnino)

Ultimo aggiornamento

13-JUN-2019

download cover image




Dalla Community


 Racconta